Fegato: organo da non sovraccaricare
STEATOSI EPATICA NON-ALCOLICA
La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) rappresenta la forma più comune di malattia epatica cronica in tutto il mondo (circa il 25% della popolazione generale), e tra i pazienti, una percentuale non certo trascurabile (3-5%) sviluppa steatoepatite non alcolica (NASH), caratterizzata da danni agli epatociti, infiammazione e fibrosi, che aumentano il rischio di sviluppare cirrosi e carcinoma epatocellulare.
Alla base della patogenesi della NAFLD vi è un accumulo di grassi, in particolar modo di trigliceridi (TG) a livello epatico. Non sorprende pertanto che la maggior parte dei soggetti con NAFLD presentino patologie quali obesità viscerale (accumulo di grasso interno alla vita), ipertensione, iperlipidemia e diabete.
Tuttavia, i meccanismi per cui una minoranza di pazienti sviluppa un fenotipo più grave rispetto ad altri non sono ancora completamente compresi. In una recente rassegna eseguita dall’ Università degli Studi di Perugia e dal Politecnico di Ancona, insieme alla Divisione Scientifica di Lipinutragen, si evince che, oltre all’ accumulo di TG, la principale causa della progressione della forma steatosica in steatoepatite è stata determinata nella LIPOTOSSICITÀ, ovvero nell’accumulo di specifiche classi di lipidi (acidi grassi liberi, ceramidi, colesterolo, acidi biliari) che agiscono come agenti dannosi [1]. Queste specie, definite “lipotossiche”, influenzano il comportamento cellulare attraverso molteplici meccanismi che inducono l’attivazione dei recettori di morte cellulare e stress ossidativo.
RUOLO DEGLI ACIDI GRASSI LIBERI (FFA) NELLA LIPOTOSSICITÀ
I meccanismi più studiati alla base della progressione da NAFLD a NASH sono quelli che portano al rilascio e alla trasformazione delle specie lipidiche definite “neutre” (cioè TG) in acidi grassi liberi (Free Fatty Acid, FFA).
In particolare, si evince che più che la quantità di FFA che si accumulano nel fegato sia la loro qualità ad influenzare gli eventi lipotossici.
Tra questi, gli acidi grassi saturi (SFA), come acido palmitico e acido stearico, hanno evidenziato una maggiore tossicità rispetto agli acidi grassi monoinsaturi (MUFA), come acido oleico, che invece mostrano un ruolo protettivo per la cellula [2]. Insieme ai MUFA, anche gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) della serie omega-3 hanno una comprovata attività protettiva per il fegato. Come evidenziato da recenti studi clinici [3-5], i PUFA omega-3, oltre a ridurre i livelli di TG nel plasma e nel fegato, riducono i valori delle transaminasi (ALT) ed in generale portano ad un miglioramento dei parametri ecografici nel fegato sia nei pazienti NASH adulti che pediatrici.
Di converso, un accumulo di PUFA della serie omega-6, ed in particolare di acido arachidonico (AA), favorisce la formazione di molecole infiammatorie scatenando il processo di lipotossicità.
EVIDENZE OTTENUTE CON L’ANALISI LIPIDOMICA DI ERITROCITA MATURO
La crescente comprensione di queste anomalie lipidiche attraverso le tecnologie lipidomiche, come l’analisi lipidomica di membrana del globulo rosso maturo (GRM), arricchiscono la comprensione del fenomeno andando a valutare direttamente a livello cellulare la presenza di lipotossicità come fattore patogeno chiave.
Un punto importante a favore dell’uso degli eritrociti, come reporter per le malattie del fegato, è la somiglianza della loro composizione in termini di acidi grassi di membrana con quello degli epatociti:
• SFA: 43% nel GRM contro 42% nel fegato
• MUFA: 23,0% nel GRM contro 23,8% nel fegato
• PUFA omega-6: 27,6 nel GRM contro 27,4% nel fegato
• PUFA omega-3: 5,7% nel GRM contro 4,6% nel fegato [6].
Anche la durata della vita media delle cellule, 120 giorni per gli eritrociti e 180 giorni per gli epatociti, risulta un chiaro indizio di metabolismo similare tra gli acidi grassi che compongono i fosfolipidi delle loro membrane.
EVIDENZE SCIENTIFICHE E RUOLO DELLA NUTRIZIONE
Recenti studi segnalano la possibilità di trattare soggetti NAFLD e NASH sfruttando i benefici di un’integrazione alimentare, in particolare con vitamina E e PUFA della serie omega-3 [7-9]. La vitamina E infatti, rappresenta la molecola più importante “per il blocco” della cascata ossidativa causata dai radicali liberi. Ora, difatti, è raccomandata nelle linee guida cliniche di UE, USA e Asia, come terapia di NASH nei pazienti non diabetici [8-9]. Mentre, per quanto riguarda i PUFA omega-3, DHA rappresenta una molecola promettente per prevenire la progressione della malattia a NASH [7] grazie alla sua attività antinfiammatoria agendo anche a livello delle membrane, migliorandone plasticità e fluidità.
Da queste premesse sono stati fatti studi clinici che hanno anche esplorato il potenziale di formulazioni multivitaminiche contenenti DHA, come componente principale, nella terapia di NASH pediatrica. I risultati mostrano un netto miglioramento dei parametri metabolici, ecografici e istologici del fegato. I risultati di questo e altri studi confermano l’importanza di PUFA come biomarcatori per una diagnosi non invasiva della NASH, descrivendone per la prima volta l’importanza per la verifica dell’efficacia di quella che possiamo definire come una “DHA therapy”. Alla luce di quanto detto, sarebbe ancora più importante personalizzare la terapia lipidica e anche seguirla come efficacia, sia clinica sia molecolare, nel tempo eseguendo l’analisi lipidomica di membrana del GRM. Le conoscenze ci sono, lo strumento diagnostico anche, quindi è solo tempo di adeguare i protocolli, tenendo conto che l’analisi è oggi eseguita dal Laboratorio di Lipidomica Lipinutragen con metodo accreditato ISO 17025, quindi con le specifiche adeguate per la certezza dei dati ottenuti.
Bibliografia:
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Articolo a cura del Gruppo redazionale di Lipinutragen
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- Il 15 Gennaio 2021