Problemi cardiaci: quali abitudini occorre azzerare?
L’aumento delle malattie cronico degenerative
Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nei paesi occidentali. In Italia le malattie ischemiche del cuore, le malattie cerebrovascolari e altre malattie cardiache insieme rappresentano il 30% circa di tutti i decessi.
La cattiva qualità della dieta insieme alla sedentarietà, contribuiscono all’aumentata prevalenza non solo delle problematiche cardiache, ma anche di tutte le malattie cronico degenerative che compromettono notevolmente la qualità della vita, oltre ad essere causa principale dei decessi e delle disabilità.
Si devono sicuramente ringraziare i progressi della medicina per aver consentito un innalzamento della speranza di vita, ma sarebbe opportuno incentivare tutti i cambiamenti sullo stile di vita per coadiuvare e integrare l’azione salvavita dei farmaci.
Come prevenire le malattie cardiovascolari?
Le politiche sulla prevenzione investono prevalentemente su interventi medicalizzanti, nonostante sia noto già da svariati anni, che i cambiamenti di stile di vita –prevalentemente centrati su esercizio fisico e alimentazione – possono produrre una significativa riduzione del rischio cardiovascolare, con effetti anti-aterosclerotici, anti-trombotici, anti-ischemici, anti-aritmici con riduzione significativa della mortalità e incidenza d’infarto.
I cambiamenti dietetici e di attività fisica apportano, insieme al miglioramento della composizione corporea, un senso di benessere generale. Al contrario, gli interventi farmacologici, assieme al loro irrinunciabile effetto curativo, presentano purtroppo quasi sempre anche effetti collaterali che peggiorano la qualità della vita. In accordo con l’Organizzazione Mondiale della Sanità si dovrebbe tendere ad aggiungere vita agli anni e non solo anni alla vita.
La migliore prevenzione in assoluto sarebbe quella cosiddetta primaria, cioè quella che si attua per evitare o ridurre il rischio di insorgenza di una patologia. Una volta che la malattia si è manifestata è altrettanto utile modificare le proprie abitudini, eliminando quelle negative, come ad esempio il fumo e la sedentarietà e adottando una dieta sana ed equilibrata.
Si ricorda che l’eccesso di peso, in particolare l’adiposità addominale (circonferenza vita ≥102 cm negli uomini e ≥88 cm nelle donne), è un importante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e sul quale si può e si deve intervenire.
Dieta e stili di vita secondo l’American Heart Association
Prendiamo ad esempio le raccomandazioni dell’American Heart Association che riprendono in parte la dieta DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension):
- conoscere i propri fabbisogni calorici per impostare un’alimentazione atta al raggiungimento e mantenimento di un peso corretto;
- praticare attività fisica regolarmente;
- seguire una dieta variata includendo anche cibi naturalmente ricchi di vitamine, minerali e antiossidanti;
- consumare abbondanti quantità di verdure e di frutta sia fresca che congelata senza aggiunte di salse o di zuccheri;
- scegliere cereali integrali, naturalmente ricchi di fibre e nutrienti;
- consumare pollame privato della pelle. Se si mangia carne rossa, scegliere i tagli più magri;
- mangiare pesce, almeno due volte a settimana, in particolare quello ricco di omega-3 (ad esempio salmone, trota, aringhe e pesce azzurro)
- evitare i grassi trans, limitare quelli saturi (SFA), i dolci e le bevande gassate;
- limitare il sale, aggiunto e contenuto negli alimenti considerando un limite giornaliero di circa 4 grammi;
- moderare l’assunzione di alcolici ed evitare il fumo anche quello passivo.
E i grassi?
E’ importante registrare che nel tempo c’è stato un cambiamento di visione del ruolo dei grassi nelle linee guida per la dieta sana. Chiarito il legame dell’alimentazione con il rischio cardiovascolare, si è passati dalla visione degli anni ’60 dei grassi considerati come il macronutriente da evitare, alle ultime linee guida statunitensi ed europee che elevano il loro apporto fino al 35% delle calorie totali giornaliere. Viene invece differenziata la tipologia di grassi, dando l’indicazione a ridurre gli SFA sotto al 10%, privilegiando i mono (MUFA) e i polinsaturi (PUFA), con particolare riguardo per gli Omega-3 (ALA, EPA e DHA)*.
Il limite indicato per gli SFA è dovuta principalmente alla sua azione sull’innalzamento nel sangue del colesterolo LDL (e in parte anche dell’HDL), ritenuto tra i principali fattori di rischio cardiovascolare. I MUFA e i PUFA, al contrario, risultano avere un effetto positivo sulla riduzione del colesterolo LDL, generalmente definito “cattivo”.
Mentre c’è parere univoco sul fatto che i grassi trans derivanti da processi e lavorazioni industriali siano nocivi per la salute, e in particolare per quella del cuore (4), questo non vale per quanto riguarda gli SFA. In particolare lo studio PURE di recente pubblicazione su Lancet (5), non trova correlazioni tra le popolazioni che hanno un maggior consumo di grassi (inclusi gli SFA) e la morte per malattie cardiovascolari, che è invece sembra correlata con l’alto consumo di carboidrati, in particolare con quelli raffinati. Questi dati emergenti andranno considerati per ulteriori ricerche ed approfondimenti, anche in ragione del fatto che potrebbe essere utile valutare anche i vari tipi di SFA presenti nelle diete perché in base alla loro natura chimica (es. lunghezza della catena alifatica) possono avere un destino metabolico diverso.
La famiglia degli Omega 3
Questa categoria di grassi, fondamentale nella dieta dell’uomo, risulta avere importanti funzioni cardioprotettive. I meccanismi molecolari che sottendono a queste proprietà benefiche sono in parte conosciuti e in parte ancora oggetto di ricerca. E’ noto che gli Omega-3 assunti con gli alimenti, una volta incorporati nelle membrane cellulari, ne conferiscono una maggiore fluidità, forniscono i precursori biochimici per importanti molecole di segnale e modulano le interazioni cellulari, incluse le funzioni dei canali trans-membrana.
I principali effetti degli Omega-3 per la salute cardiovascolare (6):
- abbassamento dei trigliceridi ematici;
- riduzione della sintesi epatica di colesterolo LDL;
- aumento del consumo dei grassi come fonte energetica (beta ossidazione);
- incremento della formazione di fosfolipidi a discapito di quella di trigliceridi da parte degli enzimi epatici
- miglioramento della pressione sanguigna abbassando la resistenza vascolare attraverso diversi meccanismi, tra cui la maggior produzione di ossido nitrico.
Le fonti alimentari di omega-3 si trovano nel mondo vegetale principalmente nei frutti e semi oleaginosi (semi di lino, di canapa, chia, noci) e nel mondo animale nel pesce azzurro (sarde, sgombri, alici, ecc.) e in quello di acque più fredde (salmone, aringhe, trote). Si può valutare l’integrazione di questi acidi grassi, purché accompagnata da un cambiamento dietetico e dall’assunzione di stili di vita sani. Nessuna pillola infatti può sostituirsi efficacemente all’azione del cibo e dell’attività motoria.
L’integrazione dovrebbe essere fatta ad hoc e preceduta da un esame ematico che individui i reali bisogni delle specifiche categorie di acidi grassi. La scelta più completa è l’esame degli acidi grassi nella membrana cellulare perché, se fatto su popolazioni di globuli rossi maturi, ci riporta lo stato nutrizionale e metabolico degli ultimi 3-4 mesi e non solo la situazione di un singolo giorno.
*SFA = acidi grassi saturi;
MUFA = acidi grassi monoinsaturi
PUFA = acidi grassi polinsaturi
ALA = acido alfa linolenico
EPA = acido eicosapentaenoico
DHA = acido docosaesaenoico
Bibliografia
(1) Report ISTAT. Anni 2003-2014 L’evoluzione della mortalità per causa: le prime 25 cause di morte. 4 maggio 2017.
(2) Ornish D, et al. Intensive Lifestyle Changes for Reversal of Coronary Heart Disease. JAMA. 1998;280(23):2001–2007. doi:10.1001/jama.280.23.2001
(3) Boden WE, et al. Physical Activity and Structured Exercise for Patients With Stable Ischemic Heart Disease. JAMA. 2013;309(2):143–144. doi:10.1001/jama.2012.128367
(4) Brouwer IA, et al. Trans fatty acids and cardiovascular health: research completed? European Journal of Clinical Nutrition. 2013. 67, 541–547
(5) Dehghan, M, et al. Associations of fats and carbohydrate intake with cardiovascular disease and mortality in 18 countries from five continents (PURE): a prospective cohort study. The Lancet. 2017. doi.org/10.1016/S0140-6736(17)32252-3
(6) Mozaffarian D. Omega-3 Fatty Acids and Cardiovascular Disease Effects on Risk Factors, Molecular Pathways, and Clinical Events. Journal of the American College of Cardiology. 2011. Vol. 58, No. 20
Articolo a cura di:
Dr. Francesco Bonucci – Biologo Nutrizionista
I consigli alimentari presenti nell’articolo non sono da intendersi sostitutivi di un piano alimentare personalizzato e sono da adattare ai casi specifici.
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- Il 22 Settembre 2017